Disuguaglianze e nuove povertà, lavoro sinonimo di sfruttamento e precarietà, perdita d’identità ed alienazione, mancanza di formazione adeguata e valorizzazione. Tra voucher, contratti a chiamata e lavoro gratuito, in una logica di continuo abbattimento del costo del lavoro. Sottolineando anche l’importanza di ricreare una solidarietà fattiva tra lavoratori ed una consapevolezza dei propri diritti e del proprio valore. Una “classe operaia” ben lungi dall’essere scomparsa. Questi i temi affrontati nel corso dell’incontro per la presentazione del libro “Non è lavoro, è sfruttamento”, dell’autrice Marta Fana, ricercatrice in economia, svoltosi martedì 28 novembre, presso il centro culturale “La Commenda”, a San Mariano di Corciano, e che ha visto la presenza anche di Vittoria Arcovio, della Nidil- Cgil, a rappresentanza dei lavoratori in somministrazione ed atipici, ed Alessandra Lecce, del settore logistica.
Una serata promossa da “Sinistra per Corciano Bene Comune”, Sinistra Italiana, Possibile e MdP in collaborazione con “Quelli del Brancaccio” (un gruppo di giovani che fanno riferimento al progetto promosso a livello nazionale da Tomaso Montanari e Anna Falcone).
La dignità del lavoratore viene presa scarsamente in considerazione, e peggiorano le condizioni di lavoro, per l’esigenza di incrementare i profitti. – evidenzia Alessandra Lecce- Lavoro come merce di scambio, considerando lo strapotere e l’avidità delle multinazionali, che scaricano i costi sugli ultimi. C’è poi disomogeneità territoriale su l’informazione dei lavoratori. Giungle normative e situazioni che rasentano la schiavitù, l’incertezza genera paura ed impotenza e ogni lavoratore, pur di avere un minimo salario, si abbassa a ricatti inaccettabili solo pochi anni fa. “Divide ed impera” è la logica perversa che si persegue, per evitare la coesione tra lavoratori e scatenare guerra tra poveri. La politica deve ridare identità a chi lavora. Questo non è un anacronismo o un residuo ideologico. L’ignoranza crea dipendenza, la consapevolezza e la conoscenza no. Valorizziamo i lavoratori come persone. Molti aspettano una nuova liberazione, invisibili e senza prospettive, sperano in un reale cambiamento”.
L’autrice, Marta Fana, parla di “proletarizzazione della classe lavoratrice”, utilizzando un linguaggio, né rivoluzionario, né ideologico, ma anzi aderente alle dinamiche del mercato del lavoro in un’economia globalizzata. “ Proletarizzazione, perché assistiamo a uno sfruttamento intensivo di tutte le tipologie di lavoro, all’impoverimento, nell’incertezza delle tutele, nel restringimento dei diritti. Scelte politiche precise, hanno portato ad una diffusa precarizzazione, fino al lavoro a chiamata ed alla depenalizzazione del reato di somministrazione illecita di manodopera, con il “Jobs Act. I voucer non rispettano diritti costituzionalmente garantiti come disoccupazione, malattia, compensi adeguati e ferie. Classe operaia veramente sparita? Tutti ceto medio? Non sembra proprio, anzi, è molto più numerosa che in passato”. L’autrice critica anche anni di ricette neo-liberiste ed evidenzia la necessità di una riorganizzazione “ di classe”, di una “lotta” necessaria per ribaltare i rapporti di forza nel processo produttivo. “ Si vuol far credere che non ci sia alternativa alla precarietà, istituzionalizzando una diseguaglianza di partenza. Il lavoro in Italia, nella maggioranza dei casi, non si trova per canali ufficiali. Voglio smontare l’idea che l’impresa sia l’unico soggetto che crea crescita e benessere. È solo un teorema ideologico che mette avanti l’individuo, perché senza lavoratori le imprese falliscono. Si arricchiscono in pochi. Si vuole indebolire la contrattazione. Lo sfruttamento, insito nel lavoro, è una logica intrinseca al sistema capitalista, è stato così in passato e così è anche nella società globalizzata. Bisogna conoscere le “periferie”, le “avanguardie” dello sfruttamento, cioè il lavoro gratuito, non ci dobbiamo abituare all’ineluttabilità della sua esistenza. I consumi in Italia sono nettamente diminuiti e si è perduto il 25 per cento della capacità produttiva, non siamo irresponsabili o rivoluzionari a dire questo. Bisogna ritornare all’articolo 18. Si parla di disoccupazione “volontaria”, ma cosa diciamo allora del lavoro “gratuito”? Si critica la gente per desiderare l’assistenzialismo, ma spesso si gioca con il significato di molti termini.”
Vittoria Arcovio, sottolinea le concatenazione peggiorativa delle condizioni di lavoro, partendo dalla legge “Biagi”, fino al decreto “Poletti” del 2014, che estende le possibilità di rinnovo del tempo determinato, fino al “Jobs Act”. “Si mettono la primo posto le esigenze di un padronato parassitario, senza occuparsi di investimenti ed innovazione. Esiste anche il fenomeno delle false partite iva, che nascondono lavoro dipendente. Il lavoro non è più garanzia di benessere, oggi lavorare vuol dire essere poveri. C’è molto lavoro nero e lavori pericolosi senza adeguate tutele. Credo che alcune politiche attive per il lavoro, come “garanzia giovani” non diano grandi risposte. Penso sia poi ingiusto a pensare alle pensioni come un’utopia, deve essere possibile anche per le future generazioni”.
Molti sono stati anche gli interventi delle numerose persone intervenute che hanno evidenziato situazioni di sfruttamento e precarietà anche in settori economici un tempo impensati (commercianti, liberi professionisti).