“Rischiamo che con un colpo di spugna si cancellino i sacrifici di intere generazioni che hanno tramandato, in oltre 120 anni di storia, il patrimonio delle nostre comunità. Un vero e proprio ‘scippo generazionale’”. C’è preoccupazione nel mondo della cooperazione umbra del credito in merito al Decreto legge 16/2016 sulla riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc).
Un timore che Luca Pecetti, Palmiro Giovagnola e Massimo Meschini, presidenti rispettivamente di Credito cooperativo umbro, Crediumbria e Bcc di Spello e Bettona, insieme ad Andrea Fora, presidente di Confcooperative Umbria, e Paolo Grignaschi, direttore di Federlus, hanno portato all’attenzione dei parlamentari Pietro Laffranco (Pdl), Valeria Cardinali (Pd) e Linda Lanzillotta (Pd, presente una sua delegata) in un incontro che si è svolto a Perugia, nella sede di Confcooperative Umbria, lunedì 22 febbraio.
“La riforma l’abbiamo chiesta e voluta – ha spiegato Fora –, lavorandoci per mesi, consapevoli del fatto che le Bcc avessero bisogno di un serio rafforzamento volto a tutelare i risparmiatori e i soci. Non ci piace però che all’ultimo momento, senza averlo minimamente condiviso, si sia introdotto un principio che snatura completamente il modello cooperativo di fare impresa. E cioè la possibilità per le banche di sottrarre il capitale accumulato in decenni di storia per quotarlo nel mercato”.
La riforma introduce infatti l’obbligo per le Bcc di aderire a un unico gruppo bancario cooperativo che abbia come capogruppo una società per azioni (spa) con un patrimonio non inferiore a un miliardo di euro. È prevista però una clausola di non adesione al gruppo, la cosiddetta ‘way out’, riservata alle Bcc con un patrimonio superiore ai 200 milioni di euro. Ciò è possibile pagando un’imposta straordinaria del 20 per cento sulle riserve che fino a ora risultavano indivisibili.
La banca non potrà però continuare a operare come credito cooperativo e si dovrà trasformare in spa. “Le Bcc così hanno due scelte – ha commentato Grignaschi –: o finire sotto una spa o trasformarsi in una spa. E tra l’altro questa seconda scelta è riservata solo a un numero estremamente ristretto di banche. Condividiamo l’impostazione generale del decreto ma questi aspetti vanno assolutamente rivisti. Se una way out ci deve essere, sia data almeno la possibilità alle Bcc di poter scegliere tra soluzioni alternative e queste siano date non solo a pochi soggetti con nome e cognome ben preciso”. E su questo punto Andrea Fora ha promesso di andare fino in fondo, anche organizzando mobilitazioni.
“Questa norma – ha aggiunto Fora – apre un vulnus dalle conseguenze incalcolabili perché l’agevolazione sugli utili destinati a riserva, miracolosamente salvata dalla Commissione europea proprio in virtù della indivisibilità, potrebbe subire una rivisitazione con danni incalcolabili per tutte le società cooperative. Inoltre, potrebbe fungere da grimaldello per altri settori cooperativi interessati a privatizzare le riserve al fine di dividerle tra i soci”. “C’è anche il rischio – ha sottolineato infine Giovagnola – che le piccole Bcc non abbiano più nessuna voce in capitolo in un gruppo nazionale composto da oltre trecento banche. Per questo si potrebbe pensare a gruppi più ristretti che salvino le singole specificità”.