La vita corre su binari diversi, spesso distanti. A volte invisibili. Uno pensa di andare avanti, di migliorare e di lasciarsi alle spalle un passato che crede di aver superato, forte anche della solidarietà con cui una intera comunità l’ha accolto, salvandolo.
Questa è un po’ la storia di Gianluca Marchesi, un ragazzo di 41 anni che giorni fa è stato arrestato a Mantignana dalla polizia. Questo è il fatto. Una notizia da masticare un po’ e vomitare sulle pagine di giornali cartacei e online. Del resto le informazioni della Squadra Mobile di Perugia lasciavano poco all’immaginazione: pluripregiudicato, reati passati in giudicato, revoca della sospensione della pena. Tra le righe c’era quasi scritto “sbatti il mostro in prima pagina”.
E così è stato, andando a stuzzicare quel labile confine fra diritto di cronaca e diritto della privacy. Il nome dell’arrestato si può pubblicare, ok. Ma nei fatterelli di tutti giorni, se guardiamo le cronache, siamo spesso di fronte ad impronunciabili nomi stranieri, nomi di gente a volte in manette. Italiani? non tanti.
Che fa allora il cronista? È la solita notizia di cronaca – quasi un riempitivo – e sbatte il mostro in prima pagina senza se e senza ma pensando pure: “Basta con questa omertà verso i connazionali”.
E invece va storto anche il binario del cronista, che in quale modo deraglia su quello dell’arrestato.
Il fatto in questione, dunque, è solo uno dei binari. La verità, come la vita, emerge solo se i binari li percorriamo tutti o, almeno, non solo uno alla volta. Non è un’impresa facile ma ecco che stralci della storia vera di Gianluca Marchesi – un’infanzia difficile, diverse cadute e la coraggiosa risalita – emergono dai chi lo conosce davvero e da anni.
Il giornalista non conosce Gianluca Marchesi, è solo uno dei tanti nomi che legge oggi giorno.
Non è un mea culpa – beninsteso – ma neanche cinismo. Il giornalista (così come il poliziotto) fa il suo lavoro, talvolta asettico. Il poliziotto esegue un ordine della procura di turno, ottiene il nulla osta a comunicare il fatto che poi arriva nelle email delle redazioni che, alle prese anche loro con la crisi, la notizia la pubblicano subito, per farlo prima degli altri.
Ora, il vantaggio di un giornale – al contrario della giustizia che trova applicazione sbucando da centinaia di meandri – è che può rendersi conto che la verità è diversa dal fatto. E può dirlo subito.
Il cronista può finalmente dire che l’intera comunità di Mantignana da anni ha accolto Gianluca Marchesi e gli vuole un bene dell’anima. Che l’ha aiutato a trovare un lavoro, a redimersi, a ricominciare una vita.
Per tanti è stato un fulmine a ciel sereno – si capisce – leggere di un suo arresto. Un arresto non giustificabile con il cuore ma, purtroppo, solo con il lessico giurisprudenziale: cumulo pena, lo chiamano. Che ha fatto Gianluca? Perchè lo hanno arrestato?
Di recente nulla ha fatto Gianluca se non guadagnarsi la stima dei suoi concittadini. La giustizia è arrivata lenta, dal passato; da quel maledetto binario.
E allora il cuore della comunità di Mantignana si allarga sempre di più. Forse anche per via di un articolo tanto frainteso quando osteggiato? Non tutto il male viene per nuocere – si dice a volte – ma non abbiamo tale presunzione.
Il fatto è l’arresto. Ma il fatto è anche l’amore. Qual’è la verita? La verità è che Mantignana si è mobilitata per organizzare qualcosa per Gianluca, per esprimergli vicinanza e anche riconoscenza.
Tutti si ricordano dell’aiuto prestato alla gente in paese, tutti si ricordano di quella foto di quand’era bambino: “Un piccolo lord – dice una sua conoscente – Gianluca è buono ed ha già pagato. Davvero”.
Ecco allora l’idea di una colletta per aiutarlo per le spese legali. È fra le tante iniziative che stanno lanciando nel gruppo Facebook “Sei de Mantignana se…”.
Con la speranza che la giustizia – adesso – non proceda spedita a senso unico. O, almeno, che prenda un binario, quello giusto.
Lorenzo G. Lotito