Lunedì 17 novembre è la giornata mondiale dedicata alla Prematurità. “Anche quest’anno per lasesta Giornata Mondiale dedicata alla Prematurità, piazze e monumenti verranno illuminati di viola, colore simbolo di questa iniziativa, per far luce su un problema poco noto ma dalle gravi conseguenze”, spiega Martina Bruscagnin, presidente di ‘Vivere onlus‘, coordinamento che riunisce 35 associazioni sparse in tutta Italia.
BAMBINI PREMATURI – I bambini nati prima della 37esima settimana di gestazione, con un peso che varia da meno di un chilo fino a due chili e mezzo e senza un completo sviluppo di organi e apparati, hanno un alto rischio di mortalità o di conseguenze che possono accompagnarli per tutta la vita. I bimbi venuti alla luce prematuramente sono circa 35.000 ogni anno in Italia su 500.000 nuovi nati.
VISITE GRATUITE – Molte saranno le iniziative per informare e sensibilizzare le donne sul problema della nascita pretermine, che verranno ospitate in diversi ospedali italiani, con visite gratuite nei reparti di ostetricia e ginecologia, dove si potranno anche svolgere esami senza l’impegnativa del medico di famiglia. Nonostante gli alti livelli raggiunti dall’assistenza sanitaria nei reparti di neonatologia, infatti, la prematurità costituisce un rischio altissimo per la sopravvivenza e la salute futura dei bimbi.
PREVENZIONE – Disabilità sensoriali e motorie, infezioni, malattie respiratorie, problemi cardiovascolari o di apprendimento, possono essere tra le principali conseguenze. Ma non mancano i casi in cui tutto si risolve senza complicazioni e il bimbo può vivere a tutti gli effetti una ‘vita normale’. E’ quindi “importante conoscere il problema perché solo così si può cercare di prevenirlo o di affrontarlo al meglio”, spiega Bruscagnin. “Fondamentale, in primo luogo, identificare le pazienti a rischio e intervenire con eventuali terapie”. Qualora non si riuscisse ad evitare, bisogna “aiutarle a scegliere il luogo più adatto per partorire perché necessitano di una terapia intensiva e di supporto psicologico”. “Pochi ancora – denuncia –
i punti di riferimento per le famiglie, che spesso non possono contare su strutture e operatori adeguatamente formati per sostenerli durante e dopo il ricovero”